Tassare gli utili delle cooperative non serve al bilancio e penalizza la crescita

1 Settembre 2011

COMMENTI

Carlo Borzaga, presidente Euricse:
Tassare gli utili delle cooperative non serve al bilancio e penalizza la crescita

L’aumento del 10% della tassazione degli utili maturati dalle cooperative, anche se destinati alla riserva indivisibile (di tutte le cooperative, comprese quelle sociali che finora godevano dell’esenzione totale e che di utili in questi tempi di tagli alle finanze degli enti locali ne maturano assai pochi), oltre a essere una delle poche misure che si possono considerare “farina del sacco” del governo (gran parte delle altre gli sono state indicate e imposte dalla Banca centrale europea) riassume in sé tutti i limiti di questa manovra: iniqua, scarsamente efficace, tendenzialmente recessiva e priva di misure a favore della crescita. Oltre ad essere la manovra di un governo debole, partito minacciando il pugno di ferro con evasori e costi della politica e finito per scaricare gran parte dell’onere sui soliti noti, tra cui appunto, anche le cooperative.

Gli elementi di iniquità sono stati da più parti sottolineati. La tassazione di favore sugli utili delle cooperative è infatti in Italia giustificata non solo dal loro carattere mutualistico e democratico (che con gli utili ha poco a che fare), ma dal fatto che di questi utili non possono beneficiare, come avviene invece nelle società di capitali, i proprietari, né al momento in cui vengono destinati a riserva né in futuro, neppure in caso di scioglimento o cessione dell’impresa. Forse va ricordato ad una classe politica che non sembra riuscire a capirlo che, quando i soci approvano un bilancio e destinano gli utili a riserva, lo fanno nella consapevolezza che stanno volontariamente rinunciando per sempre ad appropriarsi di redditi che essi, con il loro lavoro o il loro consumi, hanno generato e che potrebbero tranquillamente e legittimamente assegnare a sé stessi. L’utile delle cooperative ha infatti un significato diverso da quello che esso ha nelle imprese di capitali: se in queste ultime rappresenta il “residuo”, cioè ciò che rimane dalla deduzione dei costi dai ricavi, nelle cooperative è un aggregato generalmente definito ex-ante e funzionale alle strategie di consolidamento e di investimento elaborate dagli organi gestionali e approvate dai soci. Non meraviglia quindi – ironia della sorte? – che proprio in questi giorni la Corte di Giustizia Europea, deliberando in merito a diversi ricorsi sollevati in questi anni da varie parti, abbia stabilito che nel caso italiano, proprio per la particolare natura che assuma la riserva indivisibile, i benefici fiscali sugli utili non distribuiti non costituiscono necessariamente e immediatamente aiuto di Stato. Questa sentenza, che viene da una istituzione che in passato non si era dimostrata particolarmente attenta alle specificità della forma cooperativa, conferma che questo tipo di benefici non necessariamente ledono la concorrenza e non possono essere quindi considerati iniqui rispetto alla altre forme di impresa che non hanno – e non possono avere perché sarebbero di difficile gestione – gli stessi vincoli.

In secondo luogo, nonostante la caparbietà con cui il governo ha portato avanti il provvedimento, rifiutando sia il confronto che le proposte di modifica presentate da componenti della sua stessa maggioranza (oltre che gli inviti del card. Bertone), esso avrà quasi certamente una rilevanza molto limitata. E ciò per diverse ragioni. Innanzitutto la somma che si prevede di recuperare – pare siano 180 milioni in tre anni – è in sé assai modesta e non si capisce quindi perché, contrariamente a ogni logica, i tagli ai costi della politica non siano stati ritenuti urgenti perché le cifre risparmiate avrebbero portato un contributo marginale alla manovra, mentre il provvedimento sulle cooperative è stato mantenuto. Ma c’è di più. Le stime del contributo alla manovra sono state fatte sui bilanci del 2008 o del 2009 (fonti diverse riportano anni di riferimento diversi), anni in cui gli utili di una parte rilevante delle cooperative, e in particolare delle banche di credito cooperativo, non avevano ancora risentito pienamente della crisi. Difficile che chi è chiamato a valutare la manovra creda che la situazione del 2011 possa essere anche lontanamente simile a quella del 2008 o 2009. Inoltre il governo sembra dimenticare che le cooperative (tutte le cooperative) possono influenzare l’ammontare degli utili modificando le proprie politiche di ristorno diverse da quelle del passato: poiché i benefici fiscali avevano ad obiettivo quello di incentivare i soci a patrimonializzare le proprie imprese, al ridursi dell’incentivo essi potrebbero benissimo (visti anche gli effetti depressivi della manovra sui redditi) decidere di distribuire, almeno per qualche tempo, più risorse a proprio favore. Le entrate fiscali aggiuntive potrebbero quindi ammontare a poche decine di milioni di euro, con buona pace per le aspettative del Governo.

Infine è chiaro che questa misura avrà effetti negativi sulla crescita e quindi va in direzione opposta a quanto sarebbe necessario ed è da più parti richiesto. Non saranno forse effetti eclatanti a livello nazionale, visto che le cooperative rappresentano una parte limitata del sistema delle imprese, ma non saranno neppure trascurabili, specie per alcune economie locali (come quella trentina) e per coloro che operano nelle e con le cooperative. L’idea di agevolare la patrimonializzazione delle cooperative, e non delle altre forme di impresa, attraverso la concessione di benefici fiscali deriva infatti dalla convinzione che la forma cooperativa, sia per la provenienza dei soci da strati sociali con scarsi mezzi finanziari, sia perché create per ragioni diverse dal profitto, abbia difficoltà a reperire la quantità di capitale di rischio necessaria a garantire una efficiente gestione e incorra quindi nel rischio o di non riuscire a fare gli investimenti necessari a ottenere livelli di produzione e di produttività adeguati alle condizioni dei mercati in cui opera, o di indebitarsi eccessivamente. Al fine di ridimensionare questi limiti sono stati spesso creati fondi pubblici dedicati al finanziamento delle cooperative (oggi comunque ridimensionati) e, in alcuni paesi come l’Italia, si sono incentivate le stesse cooperative a incrementare i propri patrimoni attraverso l’accantonamento di una parte del valore creato. Quest’ultima misura ha peraltro dato i risultati sperati. Non è infatti casuale che proprio l’Italia sia oggi il paese sviluppato con il più vasto settore cooperativo, in grado di contribuire, direttamente o indirettamente, al Prodotto interno lordo per oltre l’8% e di dar lavoro ad oltre un milione e duecentomila persone (cui vanno aggiunti tutti i lavoratori autonomi, agricoltori innanzitutto, la cui attività è sostenuta dalla loro partecipazione e imprese cooperative): Ancora più evidente è il risultato di queste misure in Trentino dove, secondo un lavoro della Banca d’Italia di qualche anno fa, le cooperative risultano più capitalizzate delle imprese di capitali in tutti i settori di attività. E’ quindi chiaro che togliere incentivi alla patrimonializzazione indebolisce le cooperative perché contribuisce a scoraggiare gli investimenti e quindi indebolisce il sistema economico nel suo complesso proprio in un momento in cui sarebbe necessario cogliere ogni occasione di crescita. E ciò solo per garantire un contributo al risanamento del debito che poteva essere ottenuto in mille altri modi, a partire da una riduzione, anche solo marginale, dei costi della politica. Ma vi è di più. Tassando una percentuale maggiore degli utili anche alle banche di credito cooperativo si riducono i fondi patrimoniali a cui esse possono attingere a costo zero (perché di proprietà della banca stessa e non dei soci) per finanziare famiglie e imprese. Hanno ragione gli imprenditori a lamentare il rischio di una ulteriore stretta al credito, purché attribuiscano la responsabilità di ciò non alle banche che non possono prestare ciò che non hanno, ma al governo che ha deciso di privarle di parte delle loro risorse.

Pare quindi evidente che la decisione di tassare ulteriormente gli utili delle cooperative non ha alcuna giustificazione convincente e che, anzi, va considerata recessiva in un momento in cui di tutto c’è bisogno eccetto che di rallentare ulteriormente, anche se solo marginalmente la crescita. L’unica ragione va allora ricercata in un puntiglio di questo Governo che da sempre ha messo nel proprio mirino le cooperative per ragioni ideologiche. Anche qui dimostrandosi arretrato rispetto a quello che sta succedendo in altri paesi anche governati da coalizioni di centro destra, come in Inghilterra dove il governo presieduto da Cameron ha fatto della creazione e lo sviluppo della cooperazione uno dei cardini della propria politica economica e sociale.

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