Le imprese sociali guadagnano terreno in Europa

27 Ottobre 2016

Lo rivela il rapporto “Social enterprises and their eco-systems: A European mapping report” della Commissione europea pubblicato oggi. Euricse ha coordinato l’indagine insieme alla Rete europea EMES, per conto della Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione europea ed era anche responsabile dell’aggiornamento del report nazionale sull’Italia.

Il numero di imprese sociali in Europa è in aumento e sono impegnate in nuovi settori. Molti paesi stanno introducendo nuove leggi e azioni di sostegno per favorire lo sviluppo delle imprese sociali. I mercati, il pubblico così come quello privato, offrono nuove opportunità per le imprese sociali sia nella fase di start up sia nella crescita e sviluppo delle iniziative.

Queste sono solo alcune rilevazioni dell’indagine, che ha dato seguito al primo Mapping study svolto nel 2014 e che aveva come obiettivo quello di migliorare la qualità dei risultati contenuti in sette dei 29 rapporti nazionali elaborati nel 2014 (Belgio, Francia, Irlanda, Italia, Polonia, Slovacchia e Spagna). Inoltre, la Commissione europea ha voluto incrementare il grado di consapevolezza sull’impresa sociale coinvolgendo un ampio numero di stakeholder e realizzare un’analisi comparata e una valutazione sulle implicazioni di policy.

Lo studio evidenzia una serie di fattori che creano il clima particolarmente favorevole per l’impresa sociale in Europa oggi tra cui: la crescente domanda di servizi di interesse generale, la tendenza delle autorità locali ad utilizzare sempre di più le gare d’appalto, le opportunità in nuovi campi e settori, l’attenzione per il business etico e sostenibile.

Tuttavia nel report gli esperti mettono in guardia da una serie di vincoli e sfide che possono, invece, ostacolare lo sviluppo delle imprese sociali come la mancanza di competenze specifiche per lo sviluppo di questo tipo di business, la necessità di comprendere meglio i mercati finanziari, l’insufficiente disponibilità del capitale “paziente”, i quadri legislativi nazionali spesso inadeguati, troppo stringenti e incoerenti.ask more questions

 

Rapporti nazionali

I nuovi rapporti nazionali, partendo da una definizione comune, forniscono un quadro completo delle imprese sociali e dei loro ecosistemi in Belgio, Francia, Irlanda, Italia,  Polonia, Slovacchia e Spagna. Nella realizzazione dei rapporti i ricercatori incaricati hanno consultato gli attori più rilevanti nel contesto nazionale con lo scopo di assicurare una visione accurata e più completa possibile.

I rapporti contestualizzano il concetto e il ruolo dell’impresa sociale dal punto di vista sociale ed economico, spiegando anche il legame con l’economia sociale che ha una forte tradizione, per esempio in Italia, Francia, Spagna e Belgio.

Una conclusione importante che riguarda sia l’economia sociale sia l’impresa sociale, riguarda la resilienza e la capacità di queste imprese di mantenere e creare posti di lavoro a dispetto della crisi. Le imprese sociali rispondono alle specifiche esigenze delle persone e sono fortemente radicate nelle comunità e questo le ripara dai rischi speculativi e dai licenziamenti dovuti alla riallocazione della produzione.

Qualche esempio:

  • In Italia le imprese tradizionali hanno perso quasi 500.000 posti di lavoro tra il 2008 e il 2014, mentre il numero complessivo dei lavoratori delle cooperative sociali è passato da 340.000 a 407.000, registrando così una crescita del 20,1%.
  • In Belgio, nello stesso periodo, l’occupazione nel settore pubblico e privato è diminuita mentre l’occupazione nelle imprese sociali è aumentata del’11,5%; il tasso di crescita a Bruxelles è stato ancora più marcato, + 25%.
  • In Francia nel periodo 2008-2010, l’economia privata ha registrato una dinamica negativa in termini di creazione di posti di lavoro, mentre la tendenza nelle imprese sociali è stata positiva (+ 0,8%).

Rapporto nazionale italiano

Il fenomeno dell’impresa sociale in Italia è tra i evoluti a livello europeo. Il suo ecosistema è ricco, ben sviluppato e diversificato e può contare sul supporto da parte delle istituzioni pubbliche locali e nazionali così come di efficaci sistemi di sostegno reciproco (consorzi). Nel nostro Paese – indipendentemente dalla forma giuridica – ci sono circa 100.000 imprese sociali che coinvolgono più di 850.000 lavoratori e 1,7 milioni di volontari.

 

Le cooperative sociali rimangono le principali protagoniste del mondo delle imprese sociali in Italia. Tra le forme organizzative che maggiormente soddisfano i requisiti della definizione europea dell’impresa sociale contenuta nel documento Social Business Initiative – che è alla base dell’intera indagine – ci sono anche le imprese sociali ex lege e le associazioni e fondazioni.

Queste organizzazioni forniscono ai cittadini servizi sociali e socio-sanitari, ma operano anche negli ambiti della formazione e dell’inserimento lavorativo, nella cultura, nello sport, nell’ambiente e nella ricerca e sono in costante espansione in altri settori di interesse generale.

Ecosistema

Nel rapporto sono elencati tutti i principali stakeholder di questo settore in Italia: policy makers, istituti di ricerca e osservatori, reti e organizzazioni di rappresentanza, intermediari finanziari. Quello che emerge è un sistema ben strutturato e definito affiancato da una serie di misure e strumenti che sono stati sviluppati per supportare queste forme d’impresa nelle diverse fasi di sviluppo.

L’impresa sociale nel dibattito pubblico

La tanto discussa riforma del Terzo Settore approvata l’estate scorsa introduce alcuni cambiamenti con lo scopo di provvedere ad una cornice comune per il settore. Seppur salvaguardando e insistendo sulla natura non lucrativa delle imprese sociali, vengono introdotte misure per rendere più attraente questa forma d’impresa sia per le organizzazioni che potenzialmente potrebbero diventare imprese sociali sia per gli investitori. L’impatto di questa riforma dipenderà dai decreti attesi nei prossimi mesi che dovrebbero validare e esplicitare i cambiamenti.

La reputazione delle imprese sociali in Italia è stata danneggiata dagli scandali relativi agli appalti per la gestione dei servizi rivolti ai richiedenti protezione internazionale e migranti. Una parte dell’opinione pubblica esprime quindi scetticismo sulla decisione degli enti pubblici di esternalizzare sempre più spesso i servizi. La sfida delle cooperative sociali ora è riaffermarsi anche nei confronti dell’opinione pubblica.

Prospettive e sfide

Le imprese sociali sono un importante settore in crescita nell’economia italiana. Mentre l’integrazione nel sistema di welfare è stato fondamentale per stimolare la replicazione delle imprese sociali, la forte dipendenza dalle politiche pubbliche insieme al sempre più frequente utilizzo di gare d’appalto al massimo ribasso, condizionano il futuro sviluppo di queste imprese.

I tagli alla spesa attuate dal Governo italiano in risposta alla crisi economica hanno ridotto la disponibilità di risorse pubbliche in settori che sono fondamentali per le imprese sociali, come ad esempio il welfare. Questo da un lato riduce le possibilità di sviluppo e consolidamento di queste imprese, ma dall’altro crea stimoli per diversificare l’offerta e cercare mercati nuovi come per esempio intercettare una nuova domanda da parte degli utenti privati che hanno trovato soluzioni nel mercato informale. Una sfida chiave per le imprese sociali che forniscono servizi di interesse generale è quello di sperimentare l’innovazione nei settori della sanità e dell’educazione e di aumentare l’offerta di servizi di welfare aziendale indirizzati alle imprese ovvero ai dipendenti, famiglie e clienti. Per quanto riguarda le imprese sociali di inserimento lavorativo la sfida principale è passare da settori caratterizzati da un basso valore aggiunto verso quelli che richiedono una maggiore professionalizzazione, che avvantaggerebbe non solo le imprese ma soprattutto i lavoratori svantaggiati. Un’altra strategia, che dovrebbe essere ulteriormente sfruttata, è la creazione di partenariati con le imprese tradizionali. Come dimostrato da buone pratiche già in essere, questa strategia può favorire il mantenimento dei tassi di occupazione dei lavoratori svantaggiati integrati.

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