Commento: Il futuro ancora incerto della società cooperativa europea nel rapporto della Commissione sull’attuazione del regolamento

13 Aprile 2012

COMMENTI
Trento, 13 aprile 2012

IL FUTURO ANCORA INCERTO DELLA SOCIETÀ COOPERATIVA EUROPEA NEL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE SULL’ATTUAZIONE DEL REGOLAMENTO

IL COMMENTO DI ANTONIO FICI, UNIVERSITÀ DEL MOLISE E RESPONSABILE SCIENTIFICO DELLA RICERCA “STUDY ON THE IMPLEMENTATION OF REGULATION 1435/2003 ON THE STATUTE FOR EUROPEAN COOPERATIVE SOCIETY” DI EURICSE

La Commissione europea, in una sua recente comunicazione [COM(2012) 72 def. del 23 febbraio 2002], oggetto di questi brevi note di commento, riferisce sull’applicazione del regolamento 1435/2003 del 22 luglio 2003 sulla società cooperativa europea (SCE). Invero, lo stesso regolamento (art. 79) obbligava la Commissione a presentare una relazione sul suo stato di applicazione, con l’indicazione di eventuali proposte di modifica, entro cinque anni dalla sua entrata in vigore, fissata dall’art. 80 nel terzo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue, avvenuta il 18 agosto 2003. La Commissione si pronuncia dunque con consistente ritardo rispetto a quanto preventivato, a testimonianza, forse, di uno scarso interesse nei confronti di questa forma organizzativa, del resto manifestato anche dagli operatori, che solo in un numero molto limitato di casi vi hanno fatto ricorso.

Il regolamento SCE, com’è noto, introduce una fattispecie indipendente ed autonoma (ancorché solo formalmente tale, in ragione dei numerosi rinvii al diritto cooperativo nazionale) di società cooperativa di diritto europeo che persone fisiche, società ed altri enti giuridici residenti e costituiti nell’Unione europea (o anche nei paesi dell’Area Economica Europea) possono impiegare in alternativa alla società cooperativa di diritto nazionale, purché sussista un qualche elemento di transnazionalità, quale ad esempio il fatto che le persone fisiche fondatrici della SCE risiedano in almeno due stati diversi.

In conformità ad una prassi consueta nella legislazione comunitaria, il regolamento SCE, come già sottolineato, contemplava all’art. 79 una procedura di suo riesame da parte della Commissione.
Questa procedura ha avuto inizio nell’ottobre del 2009 ed ha visto EURICSE coinvolta in primo piano. Infatti, ad esito di una procedura competitiva, la Commissione europea ha affidato al consorzio vincitore della gara, che era stato formato ed è stato diretto da EURICSE (gli altri partner erano la fondazione spagnola EKAI e Cooperatives Europe), la realizzazione di uno studio sull’attuazione del regolamento SCE nei trenta paesi in cui si applica, comprensivo di un’analisi della legislazione cooperativa in vigore nei medesimi paesi. L’autore di queste note, su incarico di EURICSE, ha svolto il coordinamento scientifico dell’intero progetto ed ha redatto il sommario e il rapporto comparativo e di sintesi di questo studio di più di 1000 pagine consegnato alla Commissione europea nel settembre del 2010 e presentato formalmente in una conferenza a Bruxelles il 5 maggio 2010.

Successivamente, nel 2011, la Commissione europea ha svolta una pubblica consultazione pubblica dei potenziali stakeholder attraverso un questionario formulato tenendo conto dei risultati dello studio di EURICSE.
Il rapporto del febbraio 2012, che qui si introduce e commenta, costituisce, ad oggi, l’ultimo atto della procedura. In parte duole osservare come esso faccia soprattutto riferimento agli esiti della consultazione del 2011, piuttosto che al ben più ampio ed articolato studio di EURICSE, le cui conclusioni peraltro già si basavano su un ampio coinvolgimento degli stakeholder cooperativi. Va segnalato, infatti, che la consultazione svolta dalla Commissione nel 2011 non ha fatto che confermare le tesi presentate e sviluppate nello studio di EURICSE del 2010, anche perché molte delle organizzazioni consultate nel 2011 erano già state intervistate nel 2010 nel corso di quella ricerca.
Altro fatto degno di nota è che questo rapporto, pur presentando alcuni elementi di valutazione del regolamento SCE, non contiene in realtà alcuna specifica o generica proposta di modifica, come invece auspicava il legislatore europeo. Nelle conclusioni del rapporto, infatti, si rinvia ad una nuova consultazione degli stakeholder su se e come modificare il regolamento SCE, ed a tal scopo si anticipa l’organizzazione di due conferenze, una nell’aprile del 2012 da tenersi a Bruxelles, e l’altra nel settembre del 2012.

Di consultazione in consultazione, viene da chiedersi quando si giungerà a modificare effettivamente l’approccio complessivo alla legislazione europea sulle società cooperative, come nello studio di EURICSE si raccomandava con forza. Non si sa se per ragioni politiche o per inerzia della Commissione europea, il procedimento di revisione del regolamento SCE continua dunque a procedere con estrema lentezza e la sua fine viene continuamente rinviata, senza che ci si interroghi a sufficienza se tutto ciò sia positivo o negativo per il movimento cooperativo europeo.
Il rapporto del febbraio 2012 è piuttosto conciso e, a nostro avviso, non tiene conto di tutte le problematiche emerse e segnalate nello studio di EURICSE del 2010.

Si pone in evidenza, innanzitutto, lo scarso successo del regolamento SCE, misurato in termini di SCE costituite. La Commissione riporta l’esistenza di 24 società cooperative europee, delle quali peraltro alcune strumentali e non operative (segnatamente, il sospetto ricade sulle SCE registrate in Slovacchia). Se si esclude dunque la Slovacchia, l’Italia risulta il paese con il maggior numero di SCE registrate. Ciò non può sorprendere, se si considera da una parte l’adeguatezza del nostro sistema legislativo e di supporto delle società cooperative, dall’altra la presenza nel nostro paese di un movimento cooperativo particolarmente sviluppato ed attivo, anche in virtù di alcune misura legislative che tale movimento promuovono.

In verità, il rapporto della Commissione non segnala, come forse avrebbe dovuto fare, che il regolamento SCE, più che in concreto, ha assunto un valore simbolico piuttosto importante, anche in termini di difesa e promozione del movimento cooperativo. Le istituzioni europee, infatti, fanno ad esso riferimento quando sono alla ricerca degli elementi identitari delle società cooperative e dei loro tratti differenziali rispetto alle società lucrative. Può essere qui sufficiente segnalare l’uso del regolamento SCE da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte, in una recente ed importante decisione dell’8 settembre 2011 in tema di aiuti di stato (oggetto di un precedente news alert: https://euricse.eu/it/node/1866), si è infatti avvalsa del regolamento SCE per affermare la
differenza strutturale e funzionale delle società cooperative rispetto alle società lucrative; ciò che permette, ad avviso della Corte, di ritenere potenzialmente compatibili con il diritto comunitario (in particolare, con la disciplina degli aiuti di stato) eventuali misure nazionali di supporto delle società cooperative, ad esempio di natura fiscale.
La questione diventa allora quella di comprendere in che modo il regolamento SCE possa essere modificato in modo tale da diventare, al di là del suo indubitabile valore simbolico, che di per sé ne giustifica l’esistenza, anche uno strumento di uso pratico.

Nello studio di EURICSE del 2010 si segnalavano soprattutto la complessità del regolamento e la sua scarsa autonomia dalle legislazioni nazionali quali cause dello scarso successo del regolamento SCE. La Commissione, nel suo recente rapporto, riprende questi due temi, anche se, come detto, ne rinvia la soluzione ad un’ulteriore fase consultiva. Nello studio di EURICSE questi fattori di insuccesso del regolamento sono già ampiamente esaminati, di loro si offre giustificazione, nonché specifiche modalità di soluzione. L’unica strada percorribile appare quella da un lato di semplificare il regolamento eliminando una serie di disposizioni inutili e di difficile comprensione, dall’altro di renderlo più autonomo dalle legislazioni nazionali, così da rendere la SCE una fattispecie davvero (e non solo in teoria) alternativa rispetto alla cooperativa nazionale. Ciò potrebbe innescare un circolo virtuoso di progressivo miglioramento delle legislazioni cooperative nazionali nel segno del rispetto dell’identità cooperativa, ancorché tenendo conto delle esigenze imprenditoriali che richiedono di rendere disponibili alle cooperative strumenti efficaci ed efficienti, ad esempio, di finanziamento, che siano tuttavia pur sempre compatibili con la loro specifica identità.

Il vero problema, forse, è se sussista la volontà politica, tanto dell’Ue quanto dei singoli stati membri, di dar vita ad un modello cooperativo europeo davvero efficace e quindi in potenziale concorrenza con quelli nazionali, piuttosto che mantenere una cooperativa europea “in sonno” che non svolga altra funzione che quella simbolica sopra segnalata. Ciò che si può sperare è che l’ulteriore fase di consultazione che il rapporto della Commissione dichiara di voler realizzare possa esprimere un chiaro parere in un senso o nell’altro, cosicché si possa finalmente decidere se aprire una stagione di riforma del regolamento SCE oppure lasciarlo così com’è mantenendo in capo alle legislazioni nazionali una sostanziale riserva legislativa in questa materia.

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