La Corte di Giustizia europea riconosce la distinta identità delle società cooperative e la legittimità del loro particolare regime tributario

29 Settembre 2011

COMMENTI
29 settembre 2011

Antonio Fici, professore dell’Università del Molise:
La Corte di Giustizia europea riconosce la distinta identità delle società cooperative e la legittimità del loro particolare regime tributario

La decisione della Corte di Giustizia europea (“CGE”), cui queste brevi note di commento sono dedicate, segna una tappa fondamentale verso il completo riconoscimento da parte dell’Unione europea (“UE”), e nel suo ordinamento giuridico, della distinta identità delle società cooperative in confronto alle altre forme giuridiche di esercizio dell’impresa e soprattutto alle società con scopo di lucro. La CGE – in questa pronuncia resa ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”) (ex art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea “TCE”) – prende infatti atto della diversità funzionale e strutturale delle cooperative rispetto alle altre forme societarie e ritiene conseguentemente legittimo, alla luce della disciplina degli aiuti di stato di cui agli artt. 107 ss. TFUE (ex artt. 87 ss. TCE), che uno Stato membro dell’Unione europea riservi loro un trattamento fiscale particolare e più favorevole di quello ordinario.
I fatti di causa sono sufficientemente chiari. La decisione trae origine da una questione pregiudiziale sollevata ai sensi dell’attuale art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE) dalla Corte di Cassazione italiana ed avente ad oggetto la compatibilità con il diritto dell’Unione europea delle agevolazioni fiscali riconosciute dalla legislazione nazionale in favore delle cooperative di produzione e lavoro (vedi punto 38). Segnatamente, la Cassazione sottopone alla CGE la questione se tali agevolazioni costituiscano aiuti di stato vietati ai sensi dell’art. 107 TFUE (ex art. 87 TCE). La CGE, pur riconoscendo che in generale le agevolazioni fiscali alle cooperative hanno natura di aiuti di stato, esclude però che siano aiuti vietati e perciò incompatibili con il diritto dell’UE, dal momento che la diversità tra società cooperative e società con scopo di lucro giustifica e rende legittimo un trattamento differenziato e più favorevole delle prime rispetto alle seconde (vedi punto 82 e P.Q.M.).
Questa breve nota di commento si propone da un lato di porre in risalto ed illustrare i passaggi più significativi della decisione della CGE (peraltro molto chiara dal punto di vista espositivo), sottolineandone le potenziali implicazioni; dall’altro di inserire e valutare le sue principali argomentazioni nel più ampio contesto di un dibattito teorico, avviato e ancora tutto da approfondire, sull’identità delle società cooperative e i suoi riflessi in termini legislativi e di policy.
L’art. 107, 1° comma, TFUE (ex art. 87 TCE) non vieta tutti gli aiuti di stato, ma solo quegli aiuti di stato che siano finanziati mediante risorse statali, abbiano il carattere della selettività poiché
favoriscono talune imprese o talune produzioni, e siano idonei a falsare la concorrenza poiché incidono sugli scambi tra Stati membri dell’UE (vedi punto 43).
La CGE ribadisce che un’esenzione fiscale, quale quella di cui si discute in favore delle cooperative, rientra nella nozione di aiuto di stato, poiché quest’ultima comprende finanziamenti statali concessi “sotto qualsiasi forma”, sia positiva di trasferimento di risorse alle imprese (sovvenzione) sia negativa di rinuncia ad acquisire risorse così da alleviare gli oneri che normalmente gravano su un’impresa (esenzione fiscale) (vedi punti 44-47). Non rilevano dunque le modalità del finanziamento, bensì l’effetto vantaggioso che comunque si realizza in capo ad un’impresa: ecco perché anche un’esenzione fiscale costituisce un aiuto di stato.
Gli aiuti di stato non sono sempre e comunque vietati dal diritto dell’Unione europea. Lo sono soltanto quando siano “selettivi”, in quanto favoriscano alcune imprese o talune produzioni. Nel caso in questione la selettività sembra sussistere poiché la legislazione italiana favorisce le società cooperative rispetto alle altre forme societarie. Le prime sono sottoposte ad un regime “selettivo” poiché agevolato rispetto a quello “ordinario” o “normale” che si applica alle altre imprese, sicché si pone il problema della compatibilità del primo con la disciplina comunitaria degli aiuti di stato (vedi punti 48-52). In definitiva, la nozione di selettività è relazionale nella misura in cui implica un confronto tra regola ed eccezione, tra ciò che è ordinario e ciò che è diverso e perciò passibile di divieto. Da qui la necessità di comprendere quale sia la regola ordinaria che rende “selettiva” la deroga e l’importanza di individuare appropriatamente il contesto di riferimento e di stabilire adeguatamente i termini della comparazione.
Il punto forse più importante della decisione che si commenta è quello in cui la CGE approfondisce la nozione di “selettività” che contribuisce ad integrare la fattispecie dell’aiuto di stato vietato. La CGE, sulla scia di un suo precedente (sentenza 6.9.2006, causa C-88/2003, punto 56), sostiene che ai fini della sussistenza della selettività dell’aiuto di stato non è sufficiente confrontare la particolare misura agevolativa con il regime tributario ordinario ed affermarne il carattere derogatorio, ma altresì dimostrare che la deroga al regime ordinario introduce differenziazioni tra operatori “che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito dal sistema tributario di tale Stato membro, in una situazione fattuale e giuridica analoga” (vedi punti 49 e 54).
Dalla precedente affermazione discende inevitabilmente che operatori economici che si trovano in una diversa situazione fattuale e giuridica possono essere trattati diversamente nell’ambito del sistema tributario di uno Stato membro. Una deroga favorevole ad un operatore sarebbe in questo caso giustificata dalla particolare natura dell’operatore economico sottoposto al trattamento di favore (o meglio, che appare tale, ma che, come si noterà in seguito, a questo punto non può più considerarsi di favore) rispetto alla natura ordinaria dell’operatore economico destinatario del trattamento normale. A questo punto, tornando al caso concreto sottoposto all’attenzione della CGE, è necessario e sufficiente dimostrare che le cooperative sono soggetti diversi da tutti gli altri al fine di escludere che le agevolazioni in loro favore siano selettive e perciò ricadano nel divieto comunitario di aiuti di stato. La deroga al regime ordinario che sia giustificabile in ragione della diversità del soggetto che ne beneficia non costituisce una misura “selettiva” ed è pertanto legittima ai sensi dell’art. 107, 1° comma, TFUE (ex art. 87 TCE).
A questo punto la CGE poteva forse arrestarsi ed affidare allo Stato membro (o meglio, al giudice nazionale) il compito di ricercare le differenze sostanziali che possono giustificare il trattamento differenziato delle società cooperative rispetto alle altre società nel sistema tributario nazionale. Invece, essa fa qualcosa di più e di importante, le cui potenziali conseguenze saranno da scoprire (benché si possa provare ad immaginarle).
Tenendo conto delle fonti comunitarie ed in particolare del regolamento 1435/2003 in tema di società cooperativa europea (“SCE”), la CGE si sforza di individuare quei caratteri differenziali della cooperativa che contribuiscono a definirne la specifica identità.
Seppur talvolta in termini generali, la CGE li individua:
a) nella preminenza della persona sul capitale e nella devoluzione disinteressata del patrimonio residuo in caso di liquidazione (punto 56);
b) nella finalità non lucrativa e mutualistica consistente nell’attività con e in favore dei soci quali utilizzatori, clienti o fornitori della cooperativa, nonché nella distribuzione di eventuali profitti in ragione e in proporzione del volume delle transazioni di ciascun socio con la cooperativa (punti 57, 58 e 61);
c) nella ripartizione egualitaria del controllo della società in ragione della regola “una persona, un voto” (punto 57);
d) nella indivisibilità delle riserve che sono proprietà comune e devono essere destinate all’interesse comune dei soci (punto 57);
e) dallo scarso accesso al mercato dei capitali dovuto al limitato rendimento del capitale conferito e alla loro non quotazione in borsa, ciò che determina un margine di profitto nettamente inferiore a quello delle società di capitali (punti 59 e 60).
Alla luce di tutto ciò la CGE conclude nel senso che “risulta quindi necessario constatare che non si può, in via di principio, considerare che società cooperative di produzione e lavoro come quelle in discussione nelle cause principali si trovino in una situazione di fatto e di diritto analoga a quella delle società commerciali” (punto 61). D’altro canto, la CGE avverte che “cooperative di produzione e lavoro che presentassero caratteristiche diverse da quelle inerenti a siffatto tipo di società non perseguirebbero realmente una finalità mutualistica e dovrebbero pertanto essere distinte dal modello descritto nella comunicazione della Commissione sulla promozione delle società cooperative in Europa” (punto 62). Quest’ultimo passaggio della sentenza potrebbe forse essere interpretato nel senso di imporre un preciso vincolo al giudice nazionale. Costui, infatti, potrebbe giustificare il trattamento diverso delle società cooperative solo qualora le cooperative siano regolate in conformità ai parametri e criteri generali di cui alla sentenza della CGE. Qualora invece qualcuno di questi elementi facesse difetto nell’ambito della disciplina nazionale delle società cooperative, il giudice nazionale non potrebbe che valutare “selettiva” la misura e pertanto incompatibile col diritto comunitario. Afferma infatti la CGE: “spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce del complesso delle circostanze che caratterizzano le cause di cui è investito, se, in funzione dei criteri di cui ai punti 55-62 della presente sentenza, le cooperative di produzione e lavoro in discussione nelle cause principali si trovino effettivamente in una situazione analoga a quella delle società a scopo di lucro soggette all’imposta sulle società” (punto 63). Se nel caso italiano, il
problema non sembra porsi dal momento che la legislazione cooperativa nazionale (quanto meno quella avente ad oggetto le cooperative a mutualità prevalente, del resto le uniche sottoposte ad un trattamento tributario particolare) corrisponde al modello individuato dalla CGE, in altri Stati membri dell’U.E. questa sentenza, se così la si dovesse interpretare, potrebbe non essere sufficiente a legittimare agevolazioni alle cooperative, obbligando tali Stati membri, come si dirà, ad un’opera di ri-definizione ed adattamento della propria legislazione cooperativa (con conseguente possibile effetto di armonizzazione indiretta delle legislazioni cooperative dei paesi dell’U.E.).
Un ulteriore profilo della decisione in commento che merita di essere sottolineato concerne il riferimento alla necessità che in ogni caso le misure agevolative siano giustificabili alla luce della natura e della struttura generale del sistema tributario nazionale, e quindi coerenti con i suoi principi informatori (vedi punto 64 e ss.). Quanto meno con riguardo al sistema italiano, la conclusione positiva deve ritenersi pacifica. Il riferimento inevitabile è innanzitutto all’art. 45 della Costituzione che obbliga (e non soltanto autorizza!) il legislatore nazionale a promuovere le società cooperative, ciò che indubbiamente può avvenire anche tramite la leva fiscale. All’art. 3 della Costituzione che, correttamente interpretato, impone in via generale di tenere conto delle differenze sostanziali tra i fenomeni della realtà ai fini della loro disciplina, sicché, se situazioni uguali devono ricevere un trattamento uguale (principio di eguaglianza formale), al contrario fattispecie diverse – quali sono società cooperative e società con scopo di lucro – necessitano di un trattamento differenziato (principio di eguaglianza sostanziale). Agli artt. 2 e 3, 2° comma, della Costituzione alla realizzazione dei cui obiettivi (solidarietà, sviluppo della personalità, democrazia economica, partecipazione dei lavoratori, ecc.) le società cooperative contribuiscono sostanzialmente in ragione degli scopi che si propongono e delle loro modalità organizzative. Ancora e più specificamente, all’art. 53 della Costituzione che, se correttamente interpretato, consente diversificazioni ragionevoli nel riparto del carico tributario, sulla base della necessità di attuare il programma dell’art. 3, 2° comma, Costituzione, alla cui implementazione, come già rilevato, la forma giuridica cooperativa già di per sé contribuisce. In definitiva, il giudice italiano chiamato ad applicare la sentenza della CGE non avrà difficoltà a rinvenire nell’ordinamento giuridico italiano quelle disposizioni idonee a ritenere le agevolazioni alle cooperative coerenti con il sistema tributario nazionale e i suoi principi informatori.
La decisione in commento consente di svolgere alcune considerazioni conclusive che esulano dallo specifico caso, anche se da esso traggono spunto, e si proiettano in una dimensione più generale.
Innanzitutto, dal punto di vista non solo terminologico ma anche concettuale, dovrebbe essere chiaro che, una volta riconosciute “non selettive” e coerenti con il sistema tributario nazionale, le “agevolazioni” alle cooperative tali più non dovrebbero considerarsi. Qui, infatti, non si tratta di privilegiare qualcuno discriminandolo positivamente rispetto a qualcun altro, bensì di trattare specificamente i soggetti secondo le loro diverse caratteristiche. La distinta identità delle cooperative, in sostanza, non richiede “agevolazioni” ma un trattamento giuridico, anche tributario, particolare. Anche così si potrà dare attuazione concreta al modello economico pluralistico immaginato dai costituenti, il quale vede contemporaneamente sulla scena sia l’impresa privata for profit sia quella pubblica sia quella privata senza fini speculativi, di cui la cooperativa costituisce
un’importante, anche se non l’unica, forma di manifestazione. In assenza di trattamenti distinti di queste diverse forme di impresa, al di là della violazione del principio di eguaglianza sostanziale, il modello pluralistico di mercato voluto dai Costituenti italiani non potrà trovare adeguata realizzazione.
Quanto sopra impone di riflettere e lavorare sui profili giuridici dell’identità cooperativa. La sentenza della CGE conferma quanto da noi già sostenuto numerose volte in passato, e cioè che il dato giuridico è essenziale per il riconoscimento e la promozione delle cooperative e per questa via di un mercato effettivamente pluralistico. Di che cosa si serve infatti la CGE per ammettere la compatibilità del trattamento tributario delle cooperative con il diritto dell’U.E.? Si avvale di un testo di legge, cioè il regolamento 1435/2003. In assenza di questa normativa (il cui valore simbolico deve dunque senz’altro essere riconosciuto ancorché a fronte di un uso modesto nella pratica), la CGE avrebbe avuto maggiore difficoltà a svolgere questo ragionamento, non potendo fare affidamento su teorie economiche, storiche, sociologiche, per quanto accurate e documentate, poiché tenuta a giudicare secondo diritto. Il movimento cooperativo deve dunque comprendere l’importanza della legislazione per la difesa e lo sviluppo delle cooperative e promuovere sempre più la ricerca giuridica, specie quella comparatistica.
Ciò ci conduce ad un’ulteriore riflessione. La “non selettività” della misura e dunque la sua compatibilità con la normativa comunitaria dipendono dalla legislazione nazionale e dalla sua conformità ai principi che la CGE trae dal regolamento SCE (e in parte anche dalla comunicazione della Commissione europea n. 18/2004). Come detto, questo problema non si pone per l’Italia, ma potrebbe ben porsi per altri paesi dell’U.E. In un nostro recente studio (Cooperative identity and the law, di prossima pubblicazione) abbiamo dimostrato come a livello di paesi dell’U.E. esistano diverse identità cooperative e talune così blande da porsi in contrasto con i principi dell’Alleanza Cooperativa Internazionale. Ebbene, la sentenza della CGE obbligherà ciascun paese dell’U.E. a riflettere sull’opportunità di modificare ed adeguare la propria legislazione nazionale al fine di rendere legittimi trattamenti tributari specifici delle società cooperative e così contribuire ad un mercato che non sia ispirato unicamente dalla logica del profitto e dell’accumulazione capitalistica (che è la ragion d’essere delle società con scopo di lucro), bensì dalla volontà di soddisfare nel migliore e più ampio modo possibile i bisogni degli utenti e dei lavoratori (che è la ragion d’essere delle società cooperative).
Un’ultima notazione riguarda le imprese sociali. La sentenza della CGE oggetto di queste note di commento sarebbe tale da fare concludere per la compatibilità col diritto comunitario, nell’ipotesi in cui qualcuno o qualche corte sollevassero questo dubbio, di trattamenti tributari specifici e agevolativi delle imprese sociali (incluse le cooperative sociali). Queste ultime, infatti, come le società cooperative, e forse ancora più di queste, presentano tratti differenziali rispetto alle società con scopo di lucro, sicché non possono e non devono essere sottoposte al regime tributario ordinario. A tal riguardo, è forse giunto il momento di dare concreta attuazione al d.lg. 155/2006 sull’impresa sociale delineando il regime tributario particolare di questa figura soggettiva. Peccato che la politica italiana si muova in senso opposto, rispondendo alla crisi economica mediante la riduzione dei benefici fiscali accordati alle cooperative, piuttosto che il loro incremento, cosa che
sarebbe naturale attendersi se solo si pensa al contributo sociale che, specie in tempo di crisi, le cooperative sono in grado di offrire.

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