Il futuro delle imprese sociali in Europa: il report di Euricse ed Emes

22 Maggio 2019

Dalla Spagna alla Danimarca, passando per la Gran Bretagna e il Montenegro. E’ un viaggio attraverso i confini dell’Europa quello che Euricse sta affrontando con Emes International Research Network per tracciare un identikit approfondito delle imprese sociali. Un percorso nato sotto impulso della Commissione Europea come follow up del report già elaborato nel 2014 e poi successivamente aggiornato nel 2016 per 7 Stati. I primi risultati sul lavoro svolto sono stati presentati a Bruxelles il 16 e 17 maggio scorsi. Nell’attesa di poter presentare il report complessivo, che sarà disponibile solo nei prossimi mesi, ecco una panoramica sullo studio “Social enterprises and their eco-systems in Europe”.

Il report – Negli ultimi anni, in Europa, le imprese sociali hanno conquistato spazi sempre maggiori, divenendo via via più importanti nelle dinamiche economiche e di comunità.  Una tendenza derivata dall’esigenza di modernizzare le dinamiche dello stato sociale, rafforzando il sistema di welfare misto. Tuttavia, sebbene molti Paesi abbiano introdotto leggi e modelli utili a potenziare queste imprese, permangono ancora diversi limiti al loro sviluppo. Esistono infatti diverse interpretazioni circa la natura, gli obiettivi e la forma giuridica delle imprese sociali, mancano dati affidabili a cui fare riferimento e lo stesso supporto da parte della rappresentanza politica è molto variabile da Stato a Stato. Da qui, l’interesse a studiarne il funzionamento in maniera più profonda, affidabile e condivisa.

Dagli studi nazionali è emerso che le imprese sociali si sono sviluppate grazie all’interazione tra dinamiche bottom-up e top-down. Il primo caso si è verificato per lo più in Paesi in cui uno scarso livello di copertura dei servizi da parte dello Stato ha incontrato un forte impegno civico dei cittadini che si sono organizzati autonomamente per colmare le lacune del welfare pubblico. Nel secondo caso, invece, le imprese sociali sono state innescate direttamente da politiche pubbliche, si pensi ad esempio alle riforme dei servizi sociali o all’avvio di programmi di filantropia dedicati.

Un altro fattore cruciale è l’accesso alle risorse finanziarie. Un ambito particolarmente complesso per questo tipo di imprese visto che mirano a generare impatti sociali positivi, che si rivolgono a un’utenza che spesso non può o non è obbligata a pagare per il servizio di cui ha usufruito e visto che possono, per loro stessa natura, distribuire profitti solo in misura limitata e solo in alcuni casi. Per tutte queste ragioni, le imprese sociali attingono a fonti di finanziamento sia pubbliche che private. Negli ultimi due decenni, in particolare, si è rilevata una maggiore propensione ad allontanarsi dalle sovvenzioni in favore di appalti pubblici competitivi. In questo contesto, l’entrata in vigore delle norme europee per gli appalti pubblici (2014/24 / UE) ha rappresentato un significativo passo avanti. Tuttavia, la pratica di includere criteri sociali negli appalti pubblici non è ancora molto diffusa e le procedure competitive sono sottoutilizzate. Lato privato, invece, il principale contributo consiste in quote associative e donazioni.

Non solo, anche le misure fiscali non sempre sono adeguate a questa tipologia di impresa: spesso sono incoerenti e frammentarie, anche in relazione al fatto che le imprese sociali adottano forme giuridiche diverse. Il quadro, quindi, non facilita lo sviluppo di imprese sociali innovative spingendo molte realtà a scegliere forme giuridiche incoerenti solo per godere di vantaggi fiscali.

Appare chiaro, perciò, come diversi possano essere gli elementi di miglioramento per un settore che proprio durante le recenti crisi ha dato prova delle sue numerose potenzialità.

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