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Cooperazione, in Italia produce 28,6 miliardi di euro
Presentato a Roma il primo rapporto Istat-Euricse sul sistema cooperativo Borzaga (Euricse): settore economico spesso sottovalutato Venturelli: (Confcooperative): fenomeno diffuso in tutto il Paese e resiliente nella crisi Oltre 59.000 cooperative e un valore aggiunto prodotto in Italia che arriva a 28,6 miliardi, per toccare quota 31,3 miliardi considerando le controllate. Poi una reazione alla crisi ben diversa rispetto a Spa e Srl: i dipendenti del sistema cooperativo, dal 2007 al 2015 sono aumentati del 17,7%, mentre nelle altre forme d’impresa calavano del 6,3%. Sono solo alcuni dei dati emersi dal rapporto Istat-Euricse dedicato alle dimensioni del settore cooperativo italiano, ovvero il primo studio di questo genere prodotto dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e presentato a Roma questa mattina, venerdì 25 gennaio. Un’indagine per ripercorrere (e pesare) i dati strutturali del sistema cooperativo, che si inserisce nell’ambito della convenzione di ricerca “Dimensioni, evoluzione e caratteristiche dell’economia sociale” stipulata tra Istat ed Euricse. “Ora abbiamo qualche elemento conoscitivo in più per smettere di sottovalutare un fenomeno tanto consistente per l’economia del nostro Paese”, ha spiegato Carlo Borzaga, presidente di Euricse, nel corso della tavola rotonda in agenda nell’aula magna di Istat. “La cooperazione? Un fenomeno diffuso in tutto il Paese, che ha mostrato resilienza negli anni più difficili della congiuntura”, ha aggiunto Marco Venturelli, segretario generale di Confcooperative.  
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“Imprese di comunità, uno strumento di mobilitazione sociale”
Innovazione, partecipazione e sviluppo locale: il nuovo libro di Euricse Sforzi: "Fondamentali le relazioni fra tutti gli attori, pubblici e privati" di Marika Damaggio Se ne parla con interesse crescente: le si invoca, le si studia, le si analizza nei dibattiti pubblici, le si eleva a soluzione ideale per affrontare questioni che meritano risposte inedite. Poi le si sperimenta, le si applica, le si testa e le si aggiusta lungo la via. Dire imprese di comunità, oggi, significa accendere la miccia della curiosità: dei cittadini, il cui protagonismo pare dinnanzi a un nuovo Rinascimento; dell’ente pubblico, che trova nuove energie (dal basso) per soddisfare bisogni rimasti perlopiù inevasi; e del movimento cooperativo stesso, che pare riattualizzare sé stesso. Nel mezzo di un clamore diffuso, emerge tuttavia il bisogno di fare ordine: cosa intendiamo per imprese di comunità? Quali sono i modelli organizzativi e quali gli scenari futuri di un fenomeno capace di offrire nuove opportunità di sviluppo locale e di riattivare la funzione originaria della cooperazione, per sua natura al servizio della collettività? Pier Angelo Mori e Jacopo Sforzi hanno provato a dare delle risposte, l’una dopo l’altra. Il libro “Imprese di comunità. Innovazione istituzionale, partecipazione e sviluppo locale ” (il Mulino) analizza venti esperienze e, al tempo stesso, ricostruisce la cornice – giuridica, organizzativa, economica – di un fenomeno tanto antico quanto contemporaneo nelle sue manifestazioni. Un fenomeno, ancora, che, oltre all’evidente vocazione nell’avviare nuovi processi di sviluppo locale, può persino contribuire a ricucire i lembi di uno strappo ormai visibile a occhio nudo: quello tra cittadini e politica. “Perché – sintetizza Jacopo Sforzi, ricercatore di Euricse – le imprese di comunità sono un nuovo strumento di cittadinanza attiva e democrazia partecipativa”. Una delle caratteristiche fondanti, del resto, “è avere una governance inclusiva”, spiega l’autore.
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